IMPEGNO INTERNAZIONALE
10.02.2015 00:00
Oggi il loro smaltimento è diventato un problema, tanto che l'Ucina, l'associazione degli operatori nautici, ha commissionato uno studio di fattibilità, per esaminare e discutere il quale è stato organizzato a Genova, in occasione del Satec, un seminario dal titolo: "End-of-life-boats - la dismissione sostenibile delle unità da diporto e dei relativi stampi". Il problema non è solo italiano. Sull'argomento esiste infatti la direttiva europea 2008/98/Ce per la gestione dei rifiuti speciali, che entrerà in vigore dal 12/12/2010. Questa tra l'altro stabilisce che la responsabilità dello smaltimento della barca non è del proprietario bensì del cantiere che l'ha prodotta inizialmente e sul quale devono gravare i costi relativi (che, di conseguenza, si riperquoterebbero sui relativi prezzi d'acquisto).
La prima domanda che ci si pone è: quante sono in Italia le unità abbandonate o quelle obsolete e non più efficienti e gli stampi da dismettere? Difficile rispondere. Lo studio in oggetto, curato da Michelangelo Rienzo, Brunella Rallo e Massimo Iadarola, stima che tra barche immatricolate e unità minori siano attualmente circa 27mila, cioè il 4,36% del parco nautico nazionale, a sua volta stimato in poco meno di 620mila unità, compresi pedalò, pattini e natanti a remi o a vela senza motore. Un altro dato importante per valutare il fenomeno è il peso medio di vetroresina ricavabile per tutte le unità in circolazione. Questo è stato ipotizzato, per i circa 450mila scafi fino a 18 metri, in 616.828 tonnellate in totale. Si tratterebbe mediamente di 1,37 tonnellate per unità.
Anche il problema degli stampi fuori uso è complesso in quanto la loro durata è legata a vari fattori, il primo dei quali è quante volte è stato usato prima di rottamarlo. Antimo Di Martino, consigliere ai temi ambientali di Ucina racconta che in cinquant'anni di attività il cantiere Fiart Mare, nel quale lavora, ha utilizzato circa 170 stampi pari a 400 tonnellate di vetroresina mentre quelli attualmente in uso sono 17. Valutate le dimensioni del problema, bisogna dire subito che oggi non esistono appositi impianti di smaltimento della vetroresina (esistono invece per altri tipi di materiali come il vetro, la carta, l'alluminio, la plastica, il legno eccetera) e occorre crearli. Ma soprattutto va evidenziato che tale smaltimento necessita di un notevole lavoro di smontaggio e separazione da tutti i rimanenti materiali installativi (cuscinerie, vetro, plexiglass, acciaio, legno, cablaggi, tubazioni, macchinari, serbatoi, batterie e così via). I costi di tutto questo lavoro variano naturalmente a seconda della complessità delle varie unità, cui vanno aggiunti quelli di trasporto all'impianto di smaltimento e di riciclo: è stato calcolato che il tutto per una barca di 15 metri verrebbe a costare sui 16mila euro.
La questione più controversa è come utilizzare la vetroresina dopo i preliminari trattamenti di frantumazione. Attualmente sono allo studio diverse possibilità di riciclo: la più interessante appare quella con la tecnologia Wsmc (waste sheet moulding compound). Questa, sperimentata e brevettata dai ricercatori del Cnr di Pozzuoli, si basa sulla fluidificazione degli imballaggi in polistirolo, attualmente difficilmente riutilizzabili; la massa fluida può essere miscelata con la sabbia ricavata dalla macinazione della vetroresina. Il prodotto finale, sotto forma di laminati, servirebbe per realizzare nuovi prodotti ad alta resistenza come pavimenti, piani per cucine e parti strutturali per l'industria automobilistica e aeronautica. Senza addentrarci ulteriormente nell'utilizzo dei conseguenti materiali di risulta, diremo che lo studio in oggetto ha messo in luce che per la dismissione delle barche occorrerebbero almeno 5 o 6 centri di demolizione dislocati strategicamente sul territorio nazionale per non gravare eccessivamente sui costi di trasporto, con almeno un impianto per la trasformazione della vetroresina in materiale termocomposito, che può essere in granuli per la produzione di componenti high-tech o in fogli per la produzione di arredi. La spesa per tali impianti non sarà ammortizzabile solo con quanto ricavabile dalla demolizione delle barche ma occorrerà sviluppare adeguate sinergie con altri settori industriali, che producono manufatti in vetroresina, verificando insieme a loro la sostenibilità economica, ambientale e sociale di tali processi di dismissioni e di riciclo.
Giorgia Gessner
Per molto tempo il numero delle unità da diporto fuori uso non è mai stato tale da far sì che il loro trattamento a fine vita fosse ritenuto rilevante dal punto di vista ambientale e interessante dal punto di vista industriale per quanto riguarda le possibilità di recupero e valorizzazione dei materiali di risulta. Ma, dopo 50 anni di costruzioni nautiche in Frp (cioè Fiber reinforced plastic, che correntemente è chiamata vetroresina) il numero di quelle diventate obsolete e/o fuori uso è cresciuto come appare anche solo da un distratto sguardo in fondo ai cortili dei cantieri di rimessaggio o nei vecchi squeri.
Oggi il loro smaltimento è diventato un problema, tanto che l'Ucina, l'associazione degli operatori nautici, ha commissionato uno studio di fattibilità, per esaminare e discutere il quale è stato organizzato a Genova, in occasione del Satec, un seminario dal titolo: "End-of-life-boats - la dismissione sostenibile delle unità da diporto e dei relativi stampi". Il problema non è solo italiano. Sull'argomento esiste infatti la direttiva europea 2008/98/Ce per la gestione dei rifiuti speciali, che entrerà in vigore dal 12/12/2010. Questa tra l'altro stabilisce che la responsabilità dello smaltimento della barca non è del proprietario bensì del cantiere che l'ha prodotta inizialmente e sul quale devono gravare i costi relativi (che, di conseguenza, si riperquoterebbero sui relativi prezzi d'acquisto).
La prima domanda che ci si pone è: quante sono in Italia le unità abbandonate o quelle obsolete e non più efficienti e gli stampi da dismettere? Difficile rispondere. Lo studio in oggetto, curato da Michelangelo Rienzo, Brunella Rallo e Massimo Iadarola, stima che tra barche immatricolate e unità minori siano attualmente circa 27mila, cioè il 4,36% del parco nautico nazionale, a sua volta stimato in poco meno di 620mila unità, compresi pedalò, pattini e natanti a remi o a vela senza motore. Un altro dato importante per valutare il fenomeno è il peso medio di vetroresina ricavabile per tutte le unità in circolazione. Questo è stato ipotizzato, per i circa 450mila scafi fino a 18 metri, in 616.828 tonnellate in totale. Si tratterebbe mediamente di 1,37 tonnellate per unità.
Anche il problema degli stampi fuori uso è complesso in quanto la loro durata è legata a vari fattori, il primo dei quali è quante volte è stato usato prima di rottamarlo. Antimo Di Martino, consigliere ai temi ambientali di Ucina racconta che in cinquant'anni di attività il cantiere Fiart Mare, nel quale lavora, ha utilizzato circa 170 stampi pari a 400 tonnellate di vetroresina mentre quelli attualmente in uso sono 17. Valutate le dimensioni del problema, bisogna dire subito che oggi non esistono appositi impianti di smaltimento della vetroresina (esistono invece per altri tipi di materiali come il vetro, la carta, l'alluminio, la plastica, il legno eccetera) e occorre crearli. Ma soprattutto va evidenziato che tale smaltimento necessita di un notevole lavoro di smontaggio e separazione da tutti i rimanenti materiali installativi (cuscinerie, vetro, plexiglass, acciaio, legno, cablaggi, tubazioni, macchinari, serbatoi, batterie e così via). I costi di tutto questo lavoro variano naturalmente a seconda della complessità delle varie unità, cui vanno aggiunti quelli di trasporto all'impianto di smaltimento e di riciclo: è stato calcolato che il tutto per una barca di 15 metri verrebbe a costare sui 16mila euro.
La questione più controversa è come utilizzare la vetroresina dopo i preliminari trattamenti di frantumazione. Attualmente sono allo studio diverse possibilità di riciclo: la più interessante appare quella con la tecnologia Wsmc (waste sheet moulding compound). Questa, sperimentata e brevettata dai ricercatori del Cnr di Pozzuoli, si basa sulla fluidificazione degli imballaggi in polistirolo, attualmente difficilmente riutilizzabili; la massa fluida può essere miscelata con la sabbia ricavata dalla macinazione della vetroresina. Il prodotto finale, sotto forma di laminati, servirebbe per realizzare nuovi prodotti ad alta resistenza come pavimenti, piani per cucine e parti strutturali per l'industria automobilistica e aeronautica. Senza addentrarci ulteriormente nell'utilizzo dei conseguenti materiali di risulta, diremo che lo studio in oggetto ha messo in luce che per la dismissione delle barche occorrerebbero almeno 5 o 6 centri di demolizione dislocati strategicamente sul territorio nazionale per non gravare eccessivamente sui costi di trasporto, con almeno un impianto per la trasformazione della vetroresina in materiale termocomposito, che può essere in granuli per la produzione di componenti high-tech o in fogli per la produzione di arredi. La spesa per tali impianti non sarà ammortizzabile solo con quanto ricavabile dalla demolizione delle barche ma occorrerà sviluppare adeguate sinergie con altri settori industriali, che producono manufatti in vetroresina, verificando insieme a loro la sostenibilità economica, ambientale e sociale di tali processi di dismissioni e di riciclo.
Giorgia Gessner